In questo articolo affronto il tema della sindrome metabolica: cos’è e perché è così importante, come diagnosticarla, quali sono le cause sottostanti e come trattarla.
La sindrome metabolica è uno dei più grandi misteri della medicina (e dei medici). È tanto diffusa quanto poco diagnosticata e non sempre efficacemente trattata. Molti pazienti ne soffrono e non lo sanno. Perché?
Innanzitutto cerchiamo di capire cos’è e perché è così importante. Capiamo poi come diagnosticarla, quali sono le cause sottostanti e come trattarla. Infine cerchiamo di analizzare il ruolo della dieta e dello stile di vita in relazione alla sindrome metabolica.
Eh già: la dieta e lo stile di vita possono risolverla efficacemente, senza il ricorso a tanti farmaci e a tanti specialisti diversi. Ma andiamo per gradi.
È opportuno notare che si sta parlando di una sindrome e non di una malattia. Non è un dettaglio tecnico, o semantico, ma ha un significato sostanziale.
La sindrome è una condizione caratterizzata da una serie di sintomi che si manifestano insieme e che sono suggestivi di un quadro clinico ben identificabile e riconoscibile, che tuttavia non hanno un’ unica causa.
Tradotto in linguaggio più semplice: ci sono dei sintomi e dei segni (e degli esami) che fanno chiaramente identificare il problema anche se non vi è una causa unica sottostante.
Tuttavia tutti questi segni e sintomi messi insieme, aumentano il rischio cardiovascolare e di sviluppare il diabete. Per questo è così importante.
Quello che è veramente interessante è che agendo opportunamente sullo stile di vita e sulla dieta si può, nella maggior parte dei casi , “rientrare” da questa condizione. È quindi possibile farlo senza ricorrere a farmaci e interventi da parte dei diversi specialisti che tendono ad usare farmaci per risolvere il problema attinente alla loro specialità senza agire sul quadro complessivo. Quindi farmaco antipertensivo per la pressione alta, statina per il colesterolo, antidiabetico per glicemia, ecc... Se necessario si possono invece usare farmaci specificamente indicati per la sindrome metabolica.
Ma qual è la definizione esatta per questa condizione? Negli anni sono state date diverse denominazioni e differenti definizioni: Sindrome X, Sindrome di Reaven, CHAOS.
La sindrome Metabolica può essere definita tecnicamente come una costellazione di molteplici fattori di rischio e di sintomi di origine metabolica che promuovono lo sviluppo delle malattie cardiovascolari e del diabete. Nessun fattore preso singolarmente può determinare la sindrome metabolica.
La sindrome metabolica è un concetto moderno e attuale prende origine da osservazioni cliniche molto lontane.
Le basi nascono dalle osservazioni di un medico olandese, Tulp, nel 1500 che correlava il siero lipemico (infarcito di grasso) ed obesità, fino ad arrivare a Giovan Battista Morgagni nel 1700 che collegava adiposità addominale e ictus. Più vicini a noi Vague che nel 1956 correlò adiposità addominale, gotta, arteriosclerosi e Reaven nel 1988 che ha introdotto il concetto di insulino resistenza.
La prima definizione di sindrome metabolica è suggerita dalla World Health Organization (WHO) nel 1998: la sindrome metabolica è definita dalla presenza di diabete di tipo 2 o dalla ridotta tolleranza al glucosio insieme ad almeno altri due fattori. Questi sono scelti fra:
La definizione tuttavia più utilizzata di sindrome metabolica è però quella del National Cholesterol Education Program - Adult Treatment Panel III (NCEP-ATPIII) del 2001, rivista nel 2005.
Questa definizione richiede che per la diagnosi siano presenti almeno 3 dei seguenti fattori:
Nel 2005 la definizione della International Diabetes Federation (IDF), ha proposto valori diversi a seconda del gruppo etnico di appartenenza. Per i pazienti caucasici l’obesità addominale sarebbe definita da una circonferenza della vita ≥94 cm per gli uomini e ≥80 cm per le donne.
La definizione attuale, invece, richiede la presenza concomitante di almeno 3 dei fattori di rischio sopra citati in un soggetto (Alberti KGMM et al Circulation. 2009;120:1640-1645).
Circonferenza Vita Specifica per popolazione/paese |
Uomo ≥94 cm, Donna ≥80 cm (Europei) |
Trigliceridi elevati (o terapia ipolipemizzante) | ≥150 mg/dl (1.7 mmol/L) |
Bassi livelli di HDL-C | <40 mg/dl Uomo; <50 mg/dl Donna |
Elevata Pressione arteriosa (o terapia antipertensiva) | Sistolica ≥130 mmHg e/o Diastolica ≥85 mmHg |
Glicemia a digiuno (o terapia ipoglicemizzante) | ≥100 mg/dl |
I pazienti con sindrome metabolica possono presentare anche altre alterazioni metaboliche e cliniche associate oltre a quelle necessarie per la diagnosi fra cui fra cui:
Cosa significa? Significa che la sindrome metabolica, i suoi sintomi e i segni tipici si possono accompagnare anche a uno o più di queste condizioni. Molto spesso invece il paziente può non esserne a conoscenza, dal momento che non sempre gli accertamenti specialistici opportuni, sono effettuati.
Esistono diversi fattori che contribuiscono allo sviluppo sindrome metabolica, anche se questo è un’area di ricerca ancora da esplorare. Fra i più importanti:
Un ruolo chiave e nucleare è svolto dall’insulino resistenza. Il visual dell’insulino-resistenza può essere immaginato come il grasso addominale, sul cui sviluppo incide la dieta e lo stile di vita, oltre alla genetica e alla costituzione.
Che cosa significa insulino resistenza?
Per capirlo bisogna innanzitutto capire che cos’è l’insulina e che lavoro svolge.
L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas che risponde all’aumento dei livelli di glucosio nel sangue. Serve a favorire l’ingresso del glucosio nelle cellule, dove può essere utilizzato come fonte di energia e svolgere tutte le sue azioni.
L’insulina lavora insieme ad altri due ormoni. Il primo è chiamato glucagone, che possiede un’azione opposta e stabilizza e bilancia la glicemia. Il secondo si chiama adiponectina, un ormone “buono” secreto dal tessuto adiposo che invece favorisce l’azione dell’insulina.
Se non ci fosse l’insulina i valori del glucosio non sarebbero controllati. Una condizione incompatibile con la vita. Inoltre, un eccesso di glucosio nel sangue favorisce il processo di glicazione, che conduce ad una modificazione strutturale delle proteine e alimenta l’infiammazione.
L'insulino resistenza è determinata dalla diminuzione della capacità delle cellule di rispondere all'azione dell’insulina. Quindi le cellule diventano resistenti al messaggio metabolico prodotta dall’insulina.
Il fatto che la quantità di insulina secreta dal pancreas sia proporzionale al contenuto e al volume di carboidrati nel pasto, spiega perché la dieta giochi un ruolo chiave nello sviluppo dell’insulino resistenza. Un costante eccesso di carboidrati, in particolare con indice glicemico elevato, e un carico glicemico eccessivo, favorisce l’insulino resistenza.
Quando si sviluppa insulino resistenza, l’insulina non riesce a svolgere il suo lavoro. Il trasporto di glucosio all’interno delle cellule non avviene correttamente e per questo il livello di glucosio nel sangue continua a rimanere elevato.
Nella maggior parte dei casi, il pancreas riesce per anni a sopperire alla maggior richiesta di insulina. Con l’invecchiamento, la menopausa e l’andropausa, però, il meccanismo diventa sempre più difficile.
Se poi ci sono basi genetiche disfunzionali, questa persistente iperglicemia può condurre, più o meno rapidamente, fino al diabete di tipo 2.
Un eccesso di insulina favorisce:
Tali condizioni possono innescare malattie cardiovascolari, diabete e inflamma-ging.
L'insulina favorisce la formazione di nuove cellule adipose e l'aumento delle loro dimensioni. Con l’accrescere del numero di cellule, l’accumulo avviene anche in sedi ectopiche, ossia diverse da quelle abituali. Le cause che determinano insulino resistenza non sono totalmente note. L'origine sembra multifattoriale. Principalmente sono riconducibili all'obesità e alla mancanza di esercizio fisico, con coinvolgimento anche di fattori genetici ed etnici.
Il modo più semplice per accorgersi di soffrire di insulino resistenza è quello di misurare i valori di glicemia e insulina e calcolare l’HOMA index (Homeostasis Model Assessment). Un’operazione fattibile grazie ai vari convertitori presenti sul web.
L’Homa index è un indice per la valutazione della insulino resistenza. Si basa su un modello matematico che compara la concentrazione di glucosio plasmatico e il livello di insulina a digiuno.
Un valore superiore a 2,5 nell’adulto è indicatore di insulino resistenza.
La capacità dell’organismo di accumulare grasso ha consentito l’evoluzione e il mantenimento della specie umana. Il processo di formazione e accumulo di grasso, noto come lipogenesi, consentiva di risparmiare grassi, che potevano essere utilizzati come fonte di energia quando vi erano lunghi periodi di carestia. Il processo è chiamato lipolisi.
Nel corso dell’evoluzione abbiamo sviluppato un perfetto meccanismo di flessibilità metabolica. Un sistema che consente al mitocondrio (parte della cellula responsabile della gestione dell’energia) di utilizzare come fonte sia i carboidrati che i grassi, a seconda della disponibilità del momento. Un meccanismo perfetto.
Il problema oggi è dato da:
Condizioni che hanno condotto all’inflessibilità metabolica. Si tratta di un vero e proprio blocco del “meccanismo perfetto”. Una situazione che conduce allo sviluppo di patologie correlate e a un invecchiamento sfavorevole.
Se si mangiano di continuo alimenti spazzatura, la glicemia e l'insulina rimarranno sempre elevate e la lipolisi non potrà innescarsi.
Il mitocondrio va incontro allora ad una condizione di “indecisione” metabolica nella scelta del carburante da usare fra carboidrati e grassi. Questo determina un blocco dell’utilizzo del substrato per scopi energetici e il suo conseguente accumulo di grasso in tessuti ectopici, come il grasso viscerale. La situazione aumenta inoltre lo stress ossidativo, che danneggia il mitocondrio e accelera l’aging.
La sindrome metabolica e l’insulino resistenza sono condizioni temibili perché possono non esserci sintomi acuti ed immediati. Questo fa sì che la diagnosi e il trattamento possano essere ritardati.
È una situazione anomala per la medicina del nostro tempo.
Nella vita reale, la medicina si preoccupa poco o nulla della prevenzione e tanto meno di sindromi come questa.
Di fatto è difficile trovarla nella diagnosi di un paziente ospedalizzato. Il contrario si verifica per esempio, con l’ipertensione arteriosa. In tale condizione il paziente è facilmente etichettato come iperteso di fronte a un singolo episodio o fase di ipertensione.
I criteri che consentono una diagnosi di sindrome metabolica sono
Qual è la dieta migliore per prevenire e trattare la sindrome metabolica?
È sempre difficile generalizzare, soprattutto per me che penso e lavoro con la visione della nutrizione e medicina di precisione e personalizzata a 360 gradi.
I fattori cardine potrebbero essere riassunti:
Meglio allora la dieta OMAD, la dieta paleo, cheto, vegan, mediterranea o altro?
Risposta: tutte…. Possono andare bene se rispettano quanto sopra.
I cardini dello stile di vita per contrastare la sindrome metabolica sono:
Sono numerose le sostanze di origine vegetale che hanno evidenziato un potenziale terapeutico nel trattamento della sindrome metabolica e dei suoi sintomi. I dati per molte di queste sostanze sono stati pubblicati su riviste scientifiche di impatto e quindi oggi hanno una dignità scientifica. Fitocomplessi, minerali e nutrienti hanno la potenzialità per agire su:
Il medico può scegliere la formulazione in grado di agire con precisione sul singolo paziente. Fra le integrazioni più utilizzate ci sono quelle che contengono:
Nella terapia della sindrome lo stile di vita e nutrizionale svolgono un ruolo chiave. Nella maggior parte dei casi un intervento appropriato su questi due fattori consente di evitare l’uso di farmaci.
Quando gli interventi dietetici e sullo stile di vita non si rivelano sufficienti, il medico può valutare la necessità dell’utilizzo di farmaci per il trattamento dei singoli fattori (come ad esempio per l’ipertensione arteriosa, l’ipercolesterolemia, il diabete, l’insulino resistenza, ecc...). È pacifico che nessuno vorrebbe utilizzare i farmaci. Tuttavia in qualche caso sono necessari. Come sempre deve essere valutato il bilancio rischio beneficio.
Fra i farmaci che possono essere utilizzati e che hanno azione sull’insulino resistenza, il grasso viscerale e il peso, ricordo la metformina e Liraglutide.
La metformina è un “vecchio” farmaco antidiabetico. Agisce riducendo la produzione di glucosio del fegato, aumentando la sensibilità all’insulina nei muscoli e migliorando l’assorbimento e l’utilizzo del glucosio.
Può essere quindi impiegato nella sindrome metabolica. Può essere tuttavia considerato anche un farmaco d’avanguardia ed innovativo quando è utilizzato in medicina antiaging. Gli studi hanno infatti evidenziato che è in grado di agire positivamente su una via metabolica fondamentale per l’aging, l’ AMPK. È inoltre molto efficace sul microbiota intestinale e il mitocondrio.
Con questa indicazione è prescritto anche a persone che non sono diabetiche e non hanno la sindrome metabolica per migliorare l’aging. Complessivamente la metformina trova ampio spazio di utilizzo nella cura della sindrome metabolica, sotto prescrizione e guida del medico.
Liraglutide (Saxenda) appartiene a una innovativa classe di peptidi che agiscono come analoghi del GLP 1 (Glugacon Like Peptide 1). Si tratta di un ormone, o meglio un’incretina, che è prodotta principalmente dall’intestino e anche nucleo del tratto solitario del cervello. I recettori per il GLP1 sono diffusi in tutto il nostro organismo, dal tratto gastroenterico al pancreas, ai reni, al cervello, all’endotelio, al miocardio e quindi la sua azione è poliedrica.
Liraglutide è un analogo del GLP1. Questo significa che è simile per il 97% all’incretina prodotta normalmente dal nostro organismo e mima l’azione del GLP1. Vanta però una durata d’azione decisamente maggiore: 24 ore contro i pochi minuti del GLP1 endogeno. È un effetto favorevole che si è riusciti a ottenere con questo farmaco, che può mantenere fino a 24 ore le azioni prodotte dal GLP1.
Gli effetti positivi del GLP1 si manifestano con:
In risposta alla introduzione di zuccheri con l’alimentazione, questo farmaco stimola la produzione di insulina e, contemporaneamente, riduce la secrezione eccessiva di glucagone. Pertanto è un farmaco normo-glicemizzante.
Liraglutide è nato come antidiabetico, ma da anni è indicato anche per il trattamento del sovrappeso e dell’obesità. Può trovare indicazione anche nella sindrome metabolica.
Quando il Liraglutide è prescritto per il diabete, si utilizza un farmaco chiamato Victosa. Mentre quanto è utilizzato per sovrappeso, obesità e sindrome metabolica è utilizzato il Saxenda. Si tratta sempre di Liraglutide, ma cambiando l’indicazione, cambiano i dosaggi.
Il Liraglutide è un peptide che può essere somministrato quotidianamente per via sottocutanea. Non è disponibile per via orale. La somministrazione tuttavia è molto semplice e indolore e anche i pazienti più scettici riescono ad apprezzarne gli effetti. In realtà non si usa la siringa bensì una penna graduata. Il dosaggio è crescente da 0,6 a 3 mg al giorno, secondo le indicazioni e la progressione indicata dal medico.
Come tutti i farmaci sono descritti effetti collaterali. Tra i più frequenti ricordiamo la nausea. Generalmente però diminuisce progressivamente, o addirittura non si manifesta affatto, se si incrementa gradualmente il dosaggio. Un altro indesiderato effetto collaterale è rappresentato dai disturbi gastroenterici.
L’evoluzione degli analoghi del GLP1 è Semaglutide. È un farmaco analogo del GLP che attualmente è approvato per l’uso nel diabete mellito, ma per il quale sono in corso studi molto promettenti sull’obesità. Dovrebbe essere approvato con questa indicazione in Italia nei prossimi mesi.
Semaglutide ha una emivita maggiore di Liraglutide e può essere somministrato sottocute una volta alla settimana, anziché una volta al giorno. Anche i risultati degli studi sul Semaglutide sono molto interessanti perché al dosaggio di 2,4 mg hanno mostrato perdita di peso fino al 16/17 % rispetto al placebo.